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Fumo in gravidanza: nuovi studi sull'autismo


L'obiettivo è ambizioso: partire dalla (pessima) abitudine di fumare in gravidanza e arrivare a studiare più efficacemente l'autismo per limitarne gli effetti. Un recente studio statunitense schiude nuovi orizzonti di ricerca nel campo dell’autismo. Il lavoro, ad opera di un team della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora e appena pubblicato sulla rivista Environmental Research, riguarda gli effetti del fumo in gravidanza ma i suoi risultati, secondo gli scienziati che hanno condotto la ricerca, costituiscono un punto di partenza per esplorare le cause di patologie quali appunto la sindrome dello spettro autistico. Tramite un semplice prelievo di sangue a 531 bambini di cinque anni gli studiosi hanno rilevato tracce di fumo durante la gravidanza con i risultati che sono stati confermati dai test compilati dalle loro madri. La sigaretta lascia una lunga scia, dunque: i suoi effetti partono dalla vita intrauterina e arrivano (almeno) a cinque anni più tardi. Un motivo in più per non ‘intossicare’ il feto durante i nove mesi di gestazione.

Non solo. I ricercatori ritengono che questo modello di analisi possa essere applicato “alla valutazione dell’esposizione ad altri agenti potenzialmente tossici”. In particolare, come commenta Margaret Daniele Fallin, leader del gruppo di ricerca e direttrice del centro per l’autismo dell’università di Baltimora, “sarebbe importante comprendere se le esposizioni durante la vita intrauterina siano in qualche modo collegate allo sviluppo dell’autismo. Dobbiamo capire il significato delle tracce da noi scoperte”.

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