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Di crepacuore si può morire


“Che non si muore per amore è una gran bella verità", cantava Lucio Battisti qualche anno fa. Una strofa che è stata ripetuta da intere generazioni ma che, alla luce degli ultimi studi, appartiene al genere delle licenze poetiche. Infatti alcuni ricercatori del Policlinico Gemelli di Roma hanno scoperto che il “crepacuore" è una malattia letale nel 5% dei casi, con la stessa percentuale dell'infarto cioè. La morte di solito sopraggiunge proprio in seguito ad un grande dolore come la scomparsa di una persona amata: nel 30% dei casi è un lutto a causare il crepacuore mentre un buon 36% di decessi è dovuto allo stress fisico derivante da un intervento chirurgico.

A soffrire di quella che tecnicamente viene chiamata “sindrome di takotsubo" sono soprattutto le donne (nel 90% dei casi): si tratta di una cardiomiopatia da stress che si associa ad una malattia neurologica o psichiatrica nella metà dei casi, ovvero si presenta in associazione a disturbi psichiatrici come la depressione. Si manifesta come un infarto ed ha gli stessi sintomi ma lascia ‘tracce' diverse sulle coronarie. Invece di un restringimento, tipico dell'infarto, il cuore dopo un attacco di crepacuore prende la forma di un palloncino.

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